Maurizio Maugeri

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Introduzione alla filosofia - di Ernesto Riva

Martin Heidegger

 
MARTIN HEIDEGGER (1889-1976)

Essere e tempo, l'opera che nel 1927 impose Heidegger all'attenzione del mondo filosofico e non, porta come epigrafe un passo del Sofista di Platone (244 aC), in cui si dice che, nonostante l'apparente ovvietà del concetto, il termine essere è ben lungi dal significare qualcosa di chiaro, che non abbia bisogno di un'indagine approfondita. Come ai tempi di Platone, anche per noi la nozione di essere è solo apparentemente ovvia, per cui - conclude Heidegger - è necessario riproporre il problema dell'essere. Il primo problema è ovviamente quello di determinare quale possa essere l'ente che deve essere interrogato, cioè al quale la domanda sull'essere sia specificamente rivolta. Questo ente non è altro che l'uomo, che Heidegger indica con la parola Esserci (Dasein). Interrogando dunque l'Esserci, possiamo cercare che cosa sia l'essere e sperare di trovarne il senso. Ma il modo di essere tipico dell'Esserci è l'esistenza. Allora la filosofia dovrà in primo luogo essere un'anali dell'esistenza, ovvero una analitica esistenziale che sarà la strada preliminare da percorrere per poi fondare l'ontologia, cioè la scoperta del senso dell'essere. 
Con questo viene già data una caratteristica fondamentale dell'esistenza: la comprensione dell'essere è una possibilità dell'esistenza (che, come abbiamo già detto, è l'essere tipico dell'Esserci, cioè dell'uomo). La struttura invece fondamentale dell'esistenza è di essere trascendenza. E il termine verso cui l'Esserci trascende, è il mondo, per cui la trascendenza è definita più esattamente come essere-nel-mondo. Trascendere verso il mondo significa fare del mondo stesso il progetto dei possibili atteggiamenti e azioni dell'uomo. L'uomo ha bisogno del mondo e delle cose che lo costituiscono, e che sono la realtà-utènsile, cioè i mezzi della sua vita e della sua azione. Essere nel mondo vorrà allora dire prendersi cura delle cose che gli occorrono: mutarle, manipolarle ecc. L'essere di queste cose consiste nel servire come strumenti per l'uomo, nell'essere utilizzabili. L'utilizzabilità è così per Heidegger la caratteristica fondamentale delle cose del mondo. 
L'esistenza non è solo apertura verso il mondo ma anche verso gli altri. Il rapporto tra l'uomo e gli altri Esserci è un aver cura degli altri. Ma tale rapporto può assumere due diverse forme: può sottrarre agli altri le loro cure (forma inautentica di coesistenza), oppure può aiutarli ad essere liberi di assumersi le proprie cure (forma autentica di coesistenza). Per comprendersi, l'uomo può assumere come punto di partenza sé stesso oppure il mondo e gli altri. Nel primo caso, si ha una comprensione autentica, nel secondo caso una comprensione inautentica. Quest'ultima è il fondamento dell'esistenza anonima, del si dice, si fa, dove tutto è livellato, convenzionale. Nell'esistenza anonima il linguaggio diventa chiacchiera inconsistente; inoltre un'esistenza così vuota cerca naturalmente di riempirsi, ed è perciò morbosamente protesa verso il nuovo: la curiosità per le apparenze è l'altro suo carattere dominante. Tutto ciò però - si badi - non implica una condanna moralistica dell'esistenza anonima perché l'analitica esistenziale di Heidegger non vuole dare giudizi di valore. Essa si limita a riconoscere che l'esistenza anonima è uno dei possibili poter essere dell'uomo. Alla sua base c'è la deiezione (Verfallen), per cui l'essere umano cade a livello delle cose nel mondo; l'uomo è gettato nel mondo in mezzo agli altri, è un Esserci tra tanti altri. L'esistenza è un essere possibile cioè un progettarsi in avanti; ma questo progettarsi non fa che ricadere all'indietro, su ciò che l'esistenza è già, di fatto. Tale è la struttura circolare e conclusa dell'essere dell'uomo, che possiamo adesso chiamare anche Cura: essa è appunto l'essere dell'Esserci, nella sua unità di esistenza, deiezione e fatticità (o effettività: l'uomo è quello che è, diverso dalle cose). 

Vi è però anche la possibilità dell'esistenza autentica, a cui l'uomo è richiamato dalla voce della coscienza. A che cosa lo richiama la voce della coscienza? Essa lo richiama a riconoscere l'annullamento ultimo di tutte le sue possibilità, e cioè lo richiama a riconoscere la morte. La morte, dice Heidegger, è per l'uomo la possibilità "più propria, incondizionata, certa e come tale indeterminata e insuperabile". Solo se l'uomo riconosce la possibilità della morte e la assume su di sé con una decisione anticipatrice, l'uomo può trovare il suo essere autentico. Mentre l'esistenza banale è una fuga di fronte alla morte, la voce della coscienza chiama l'uomo all'essere-per-la-morte, cioè alla decisione anticipatrice che consiste nel vivere-per-la-morte. Questo vuol dire comprendere l'impossibilità dell'esistenza in quanto tale. Ad essa si accompagna una tonalità emotiva che Heidegger chiama angoscia. Con l'angoscia, l'uomo "si sente in presenza del nulla, dell'impossibilità possibile della sua esistenza". Essa pone l'uomo di fronte al nulla, e il nulla si presenta nella sua potenza di annientamento. L'angoscia fa vedere all'uomo l'insignificanza e la nullità dei fini che gli vengono proposti nella sua esistenza quotidiana, e gli offre la possibilità di rimanere fedele a quelli inerenti alla situazione in cui viene a trovarsi. Poiché questa situazione è un coesistere con gli altri, fra le cose del mondo, l'esistenza autentica dà all'uomo la possibilità di rimanere fedele al destino della comunità cui appartiene. In altri termini, la libertà per l'uomo consiste nello scegliere e nell'accettare la sua situazione e nel rimanerle fedele. Per l'uomo vi è anche un tempo autentico ed un tempo inautentico: il primo è dato dalla paura, dall'ora; mentre il secondo è dato dalla decisione anticipatrice di vivere per la morte (per cui il futuro è per Heidegger la dimensione temporale fondamentale), dall'angoscia e dalla ripetizione (nel senso della ri-scelta delle possibilità che sono state). Il tempo così non si aggiunge all'essere dell'uomo ma l'essere è il tempo. L'essere dell'uomo ha trovato il suo senso nel tempo. Il tempo è il senso dell'essere: questo è quanto il titolo dell'opera di Heidegger può suggerire. 
Arrivato a questo punto, però, Heidegger deve riconoscere che non ha ancora trovato l'essere e tanto meno il suo senso. Il senso dell'essere non può essere trovato interrogando un ente, sia pure l'uomo, l'Esserci, "ciò che noi stessi sempre siamo", come dice Heidegger. L'unico risultato positivo che può derivare dall'analitica esistenziale è stato quello di scoprire che l'essere di cui si cerca il senso non è l'essere di un ente. Ecco perché Essere e tempo è stato interrotto da Heidegger. Infatti manca della seconda parte, di carattere storico, e manca soprattutto della terza sezione della prima parte. 
La risposta che Heidegger dà nella Lettera sull'umanismo (1947), chiarisce il perché della lacuna: le sezioni non vennero scritte perché il pensiero fallì quando si trattò di dire adeguatamente la svolta (Kehre) a cui stava arrivando. Il linguaggio della metafisica non era più in grado di esprimere il rapporto con l'essere. 
Ricordo, a questo proposito, che anche se Essere e tempo fu salutato all'inizio come il più importante documento della filosofia esistenzialistica, esso non voleva affatto essere tale. Heidegger stesso ribadirà più volte: "Le mie tendenze filosofiche non possono essere classificate come 'Filosofia dell'esistenza'. La questione che mi preoccupa non è quella dell'esistenza dell'uomo, ma quella dell'essere nel suo insieme e in quanto tale" (cf. Lettera sull'umanismo, 1947). 
Il termine metafisica è usato da Heidegger per indicare tutto il pensiero occidentale che non ha saputo riconoscere l'essere. Certo, fin dagli inizi parla dell'essere e ricerca l'essere, ma ha gradualmente confuso l'essere con le cose, dimenticando la differenza ontologica tra l'essere e gli enti. In altre parole, il pensiero occidentale ha pensato l'essere attribuendogli qualche caratteristica particolare, oppure l'ha pensato come il carattere comune di tutti gli enti , come una sorta di concetto generale ed astratto (fino ad arrivare alla vanificazione del concetto stesso di essere, ad es. in Hegel, che nella sua Logica rovescia l'essere nel nulla). L'essere è stato pensato sovente come semplice presenza, come cosa. Da qui, secondo Heidegger, il graduale oblio dell'essere che caratterizza la storia della metafisica occidentale. La metafisica è giunta alla sua fine col pensiero di Nietzsche. Questi, parlando di nichilismo, indica che l'essere è scomparso: l'Occidente, dice Heidegger, è la terra della metafisica come la terra del tramonto dell'essere. La tecnica moderna o, meglio, la mentalità tecnologica è il fenomeno che esprimere il venire a fine della metafisica. Non vi è oggi alcun ente davvero misterioso, tutto è dato per conosciuto o per conoscibile attraverso i metodi razionali; la mentalità corrente è quella che conosce la cosa solo in ciò che essa ha di funzionale. Il pensiero stesso non è diventato altro che una escogitazione tecnica, strumento esso stesso per la soluzione dei problemi. Ma forse è proprio in questa situazione di estrema povertà di pensiero, questo tempo di povertà (dürftige Zeit), che è possibile andare oltre ed uscire dall'oblio dell'essere. Ciò esclude che il problema del superamento della metafisica possa essere inteso come il problema di riuscire a parlare finalmente di quello che la metafisica ha sempre taciuto, cioè dell'essere. È invece anzitutto la ricerca di un modo nuovo di esercitare il pensiero stesso, che non si consideri più, nei confronti dell'essere, come elaborazione di concetti adeguati, cioè veri nel senso di conformità al dato. A questo proposito, si pensi che la nozione comune di verità è quella che intende la verità come conformità o adeguazione della proposizione alla cosa (adaequatio rei et intellectus). Quando cerchiamo la verità, ci sforziamo di adeguarci alla cosa, cioè assumiamo la cosa come norma. Ma questo modo di rapportarsi alla cosa presuppone per Heidegger un'apertura più originaria, che è un essere-aperto alla cosa come tale. L'aprirsi alla cosa così come essa è, è un atto di libertà: l'essenza della verità è la libertà. La verità è intesa da Heidegger come originaria apertura e svelamento, come suggerisce l'etimologia greca della parola: essa è a-letheia, non-velamento.

La svolta (Kehre) di Heidegger consiste nell'instaurare un rapporto diverso tra pensiero ed essere. Egli descrive questo rapporto in base al doppio significato che ha il genitivo nella espressione "pensiero dell'essere". Il pensiero può essere pensiero dell'essere in senso oggettivo, cioè comprende l'essere: non ci può essere infatti comprensione e conoscenza dell'ente se non c'è, preliminarmente, una comprensione dell'essere. Oppure il pensiero può pensare l'essere soltanto perché è dell'essere anzitutto in senso soggettivo, cioè gli appartiene. L'essere allora non potrà più essere pensato metafisicamente come presenza, ma viene inteso come luce, come illuminazione, nel senso che è proprio della luce lasciar apparire le cose proprio perché essa non appare direttamente. Così è dell'essere: fa apparire gli enti, lascia sussistere la storia, solo in quanto a sua volta si cela, si nasconde. 
Se l'essere può rivelarsi attraverso le cose e gli eventi, l'uomo può coglierlo solo se si abbandona allo svelamento dell'essere come tale. Ma lo svelamento dell'essere non può mai essere totale o diretto. L'esistenza è allora stare alla luce dell'essere, per cui l'uomo diventa il pastore dell'essere e la sua dignità consiste "nell'essere chiamato dall'essere stesso a far la guardia alla sua verità". In quanto l'uomo pensa, non può fare altro che "lasciare che l'essere sia". L'uomo deve mettersi in ascolto del linguaggio dell'essere e affidarsi ad esso. L'essere parla all'uomo attraverso il linguaggio o, meglio ancora, attraverso la sua forma più autentica, che è la poesia. La poesia è intesa da Heidegger come annuncio, appello, ed usa l'uomo come suo messaggero. L'uomo deve ascoltare il linguaggio nella sua originaria poeticità, cioè nella sua forza fondante e creativa. 
In quanto è ascolto del linguaggio, il pensiero è ermeneutica. Ermeneutica, cioè interpretazione, incontro con il linguaggio, è allora la stessa esistenza nella sua dimensione più autentica. L'ermeneutica a cui pensa Heidegger è quella che è capace di interpretare la parola senza consumarla o esaurirla, rispettandola nella sua natura. In questo senso va anche intesa l'insistenza di Heidegger su nozioni come quella di silenzio e di ascolto del silenzio. Il che non è da vedere come misticismo, ma corrisponde al riconoscimento che l'appello a cui rispondiamo deve essere lasciato valere come appello: il pensiero ermeneutico intende proprio lasciar essere altro l'altro. 
Concludo con alcune osservazioni riguardanti il problema di Dio. In primo luogo non si confonda l'essere di cui Heidegger parla con Dio e tantomeno col Dio cristiano. "L'essere non è Dio né un fondamento del mondo", dice chiaramento Heidegger nella Lettera sull'umanismo. Ma questa non vuole essere una dichiarazione di ateismo o di indifferentismo. Anzi Heidegger ritiene che "solo a partire dall'essenza del sacro va pensata l'essenza della divinità". In altre parole, Heidegger lascia aperta la porta al problema di Dio. Egli riconosce soltanto che l'uomo contemporaneo non può porsi tale problema se non ponendosi in quella dimensione in cui una domanda simile possa essere posta. Questa è appunto la dimensione del sacro, che però resta chiusa, secondo Heidegger, se non si è illuminati e aperti all'Essere. Il che oggi non accade e può darsi che una caratteristica dell'età contemporanea sia proprio quella della chiusura alle dimensioni del sacro. Però "la sdivinizzazione esclude così poco la religiosità che è proprio attraverso la sdivinizzazione che il rapporto agli Dèi si trasforma in esperienza vissuta religiosa" (cf. Sentieri interrotti). 

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Martin Heidegger nacque a Messkirch, nel Baden, il 26 Settembre 1889. Si laureò in filosofia a Friburgo nel 1913. Fu assistente di Husserl per molti anni. Nel 1923 diventò professore a Marburgo. Nel 1927 pubblicò Essere e tempo
L'anno successivo fu chiamato a succedere ad Husserl alla cattedra di Friburgo. Nel 1929 pubblicò la prolusione ufficiale col titolo Che cos'è la metafisica?
Nel 1933 fu nominato rettore dell'università di Friburgo e aderì al partito nazista. Si dimise però dall'incarico l'anno successivo per dissensi col governo e smise di occuparsi di politica. Continuò a pubblicare molte opere che segnano la filosofia del Novecento: Kant e il problema della metafisica, L'essenza del fondamento, Introduzione alla metafisica, Sentieri interrotti, Nietzsche, La dottrina platonica sulla verità, Lettera sull'umanismo, In cammino verso il linguaggio
Morì a Messkirch il 26 Maggio 1976. 

Per approfondire: 
Galimberti, Heidegger, ed. Mursia 
Steiner, Heidegger, Oscar Mondadori 
Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza. 

Le opere di Heidegger sono tradotte in italiano nelle edizioni Laterza, UTET, Mursia, Il melangolo ecc.


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